Finale di partita
L’epoca schiusasi con la funesta data del 1989 ha inaugurato quella grande narrazione, gravida di ideologia, che ha uno dei suoi nuclei portanti nell’assunto secondo cui la lotta di classe sarebbe finita. Con tale asserto, in verità, si nasconde ideologicamente la persistenza del conflitto classista e dello sfruttamento, della sempre crescente disuguaglianza e, soprattutto, della riduzione del Servo a polo passivo, che subisce in silenzio.
Contro le retoriche dominanti, occorre allora ribadire che, lungi dall’essersi estinta, la lotta di classe si è ridisposta nell’inedita forma del massacro di classe: il Signore sta gestendo unicamente il conflitto, il quale si dà oggi come ‘rivolta delle èlites’ (C. Lasch). Il Signore in rivolta si sta riprendendo tutto, a partire dai diritti sociali e dalle garanzie guadagnate un tempo dal Servo sul campo di battaglia.
È questo il ‘Finale di partita’ immaginato e realizzato da Morleo come una scacchiera gigante – omaggio all’esplorazione artistica di Marcel Duchamp – su cui si muovono le pedine delle classi sociali, rappresentate solo dai propri abiti o arnesi, vestigia ultime di un’identità che non sanno più o non vogliono più rivendicare. Re e regine, uniche figure antropomorfe della scacchiera, immobili, increduli si guardano, cristallizzati nel rimanere fedeli a se stessi.
Il tema magnificamente rappresentato da Morleo è la diserzione, lo sciopero, la rinuncia alla guerra da parte del Servo. Tra arte e filosofia, la mostra affronta i conflitti sopiti del presente interrogando il passato ed i suoi errori, declinati nell’unico linguaggio che oggi sia in grado di attraversare e probabilmente risolvere il divorzio sociale della classe dalla sua idea di sé. Le due maxi-installazioni di Morleo sono la chiave interpretativa di un mondo che si vuole raccontare come caos, ma tale non è. Le opere – in mostra fino al prossimo 21 febbraio – sono espressione di un percorso che dà fortemente voce alle istanze gramsciane e marxiane del conflitto e della resistenza nel mondo dell’insensatezza divenuto unico senso.